Quando pensiamo al “posto fisso “, generalmente, una serie di immagini cominciano a susseguirsi nella nostra mente, facendo viaggiare la fantasia verso scenari idilliaci: immaginiamo di essere al 100% operativi e felici di quello che si andrà a fare (senza nemmeno considerare l’esistenza del concetto “frustrazione da monotonia”), pranzare in maniera armoniosa con i colleghi che ben conosciamo (senza pensare che un giorno brameremo di incontrare persone nuove), ecc. A tutto questo si aggiunge anche una remunerazione sicura ogni fine mese e la tranquillità che deriva dalla consapevolezza che questa sequela mensile si ripeterà tutti i giorni fino al pensionamento (senza renderci conto della rapidità con cui cambieranno le nostre esigenze e aspettative lavorative e personali!).
Di per sé, non vi è nulla di sbagliato nel desiderio del posto fisso. Il problema risiede piuttosto nel fatto che questo desiderio si basa su presupposti di natura anacronistica che non sono più rappresentativi della società odierna.
Possiamo dire che il posto fisso come lo intendiamo oggi, nasce in concomitanza con il consolidarsi della società industriale e vive il suo apice a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il posto fisso è effettivamente caratteristico di questo periodo storico e ha ricoperto un ruolo molto importante in una società destrutturata dai conflitti, in cui la priorità era quella di ridare regolarità e normalità al quotidiano, e dove i desideri “secondari”, di natura più individualistica, non avevano né lo spazio, né in qualche modo il diritto di esistere.
Oggi il nostro ambiente è cambiato. In Europa occidentale stiamo vivendo il più lungo periodo di pace della storia (cfr. Declino della violenza di Steven Pinker). Questa condizione ha portato con sé evidenti benefici, ma ha anche generato nuove dinamiche. Oggi siamo più che mai esposti a informazioni di ogni tipo, e di conseguenza siamo stimolati a maturare più velocemente nuovi desideri, aspirazioni e paragoni. Anche il mondo del lavoro è sottoposto a questo nuovo ritmo: è più rapido e dinamico, alcune funzioni spariscono, e altre si creano con altrettanta rapidità. Questi cambiamenti che mal si sposano con i pilastri portanti del posto fisso (che è generalmente privo di oscillazioni troppo brusche), investono l’azienda e il dipendente e li invitano ripensarsi secondo nuovi modelli.