Di rado lo stato di “disoccupato” è percepito come qualcosa di positivo. La parola non indica solamente un periodo in cui una persona è privata di un’attività regolare e di un’entrata economica, ma porta con sé anche una sorta di stigma sociale. Parte della responsabilità di questa percezione è da attribuire alla lingua, se consideriamo che le parole che utilizziamo plasmano anche il nostro pensiero.
Una volta in italiano era maggiormente usata l’espressione “senzalavoro”, che aveva un’area di riferimento più circoscritta e somigliava di più ai termini “jobless” (inglese) e “Arbeitslos” (tedesco), che indicano anch’essi, appunto, una persona priva di attività lavorativa, non di occupazione.
Considerato che, la parola “disoccupato” significa letteralmente “senza occupazione”, sembrerebbe che una persona senza lavoro non abbia nulla da fare, poiché l’unica occupazione “accettata” è quella lavorativa. Se riflettiamo un attimo, ci rendiamo conto che una persona senza lavoro non è necessariamente una persona senza occupazione, in quanto le occupazioni possono essere di svariata natura.
Come porsi, dunque, davanti a un periodo di disoccupazione? Come trarre il meglio da questa situazione quando tutto sembra giocarci contro, dagli aspetti economico-materiali alla percezione sociale? In primo luogo, dobbiamo ridimensionare la portata che il lavoro ha nelle nostre vite: noi possiamo avere un lavoro, ma non siamo il nostro lavoro. Un periodo di disoccupazione è il momento migliore per ricordarci chi siamo, perché il nostro valore reale (anche in termini lavorativi) risiede appunto nel nostro essere, non nel nostro avere (per approfondimenti cfr. “Avere o essere” di Erich Fromm). Una volta adottata questa prospettiva, non ci resta altro che lanciarci nella coltivazione del nostro essere e utilizzare intelligentemente il nostro tempo. Un periodo di disoccupazione è sicuramente un buon momento per riscoprire noi stessi, per capire cosa ci piace fare e cosa siamo portati a fare, per dare spazio alla nostra creatività, per imparare una nuova lingua, per aderire all’attività di un’associazione e guardare alla nostra vita con più equilibrio.